Vaniglia, chiodi di garofano, tabacco, cuoio, caffè, cioccolato!
Questi e tanti altri sono i sentori del vino che chiamiamo terziari o note da evoluzione. Si tratta di sensazioni odorose che arrivano direttamente dai legni che vengono scelti per la maturazione del vino e dagli affinamenti dello stesso in bottiglia. Ma sono tutti uguali?
La risposta è no!
Se esistesse una sola ricetta perfetta capace di creare un grande vino, potete immaginare la noia? La storia dei territori, le tradizioni dei luoghi, la saggezza tramandata di generazione in generazione, niente di tutto questo avrebbe lo stesso valore, e l’avrebbero avuta vinta soltanto la chimica e la fisica. Processi di trasformazione al servizio di un’idea, tra le più geniali che l’uomo abbia mai avuto, IL VINO!
Ogni vino è una piccola caverna di tesori, che rimangono celati solo a chi non ha la pazienza di ascoltare e approfondire, per chi ha lasciato la strada della curiosità, unico vero motore di ogni processo evolutivo.
Oggi la sfida è quella di lasciar cadere il muro tra chi fa vino e chi lo beve, perché va bene il mistero e lo charme che i grandi vini portano con sé, ma sappiamo che ciò che non conosciamo ci fa paura e siamo portati a tenerlo distante. Il vino, invece, appartiene a tutti, allora andiamo a scoprire uno dei suoi tanti aspetti.
Vogliamo raccontarvi dei legni e di come questi contribuiscono a formare il carattere di un vino.
Breve storia dei legni per il vino
Verso la fine del 1800 alcuni produttori si accorsero che il vino che sostava nel legno assumeva quadri aromatici migliori e più complessi di quello conservato diversamente, perché ne permette l’ossigenazione (grazie alla porosità, alle doghe e al cocchiume -foro centrale-) e perché tende a cedere i suoi aromi e tannini.
Tecnicamente si parla di maturazione o affinamento in legno (cioè il periodo che va dalla fermentazione al consumo a tavola) e non conservazione o stoccaggio, perché questa fase non punta al mantenimento delle caratteristiche qualitative, ma ha lo scopo di migliorarle.
Tipi di legno utilizzati per le botti di vino
Il legno da impiegare deve avere le seguenti caratteristiche: porosità, elasticità, robustezza e non deve cedere sostanze resinose.
I legni maggiormente utilizzati nella filiera vinicola sono: la quercia (o rovere), il castagno, l’acacia e gelso (questi ultimi soprattutto per vasi vinari secondari).
Le specie di quercia (Quercus) più utilizzate sono tre:
- Peduncolata o Robur: di origine francese nella regione del Limousin e dell’Europa Balcanica
- Petraea o Sessilis: proviene dalle regioni francesi di Allier, Argonne, Bourgogne e poi Ungheria e Caucaso
- Alba: usata in America
Da dove provengono
La provenienza non è questione meramente geografica, ma di fondamentale rilevanza perché ci dà informazioni sulla crescita degli alberi e quindi su come performeranno a contatto col vino.
La “tracciabilità” del legname è un aspetto cui si riconosce molta importanza. In Francia, ad esempio, la maggior parte delle foreste sono demaniali, gestite dall’Office National des Foréts, tra i maggiori produttori di legno di rovere da barriques, anche se non l’unico.
I legni più richiesti provengono dai boschi francesi del Massiccio Centrale (Allier, Limousin, Cher, Nievre, Borgogna e Vosges) caratterizzati da terreni silicei, magri e asciutti che limitano la crescita del tronco a pochi millimetri annui. In America settentrionale troviamo il rovere bianco, meno tannico e ricco di aromi, che arriva da boschi diradati, con abbondante risorsa idrica che accelera il processo di crescita della pianta. Ciò influisce direttamente sulla grana. Per produrre il rovere “gran fin” (con accrescimento radiale annuo < 1,5 mm) servono piante che abbiano 100-200 anni d’età, il cui prelievo avviene solitamente in primavera, mentre la grana da media (1,5 – 2.5 mm annui) e grossa (>2,5 mm annui) dà legni più teneri, meno tenaci.
Le parti del legno utilizzate
La parte centrale del tronco, Duramen, viene sezionata per la produzione delle doghe, essiccate e stagionate, per un periodo tra 1 e 7 anni.
Segue la curvatura delle doghe (che può essere a vapore, acqua calda, con braciere o fuoco diretto) ed infine la tostatura, responsabile dei profumi terziari del vino e che va valutata sulla base del tempo impiegato e della temperatura raggiunta. La tostatura può essere:
- Nulla
- Leggera (fino a 5 min a temperature intorno ai 150°C): sentori tenui e gusto un po’ astringente
- Media leggera (tra 5 e 8 min)
- Media (fino a 10 min): sentori di vaniglia, caffè, pan tostato, rotondità di gusto
- Forte (fino a 15 min a temperature intorno ai 200°C): sentore di caramello cotto e caffè tostato, sapore di legno bruciato, sensazione tannica, amara e astringente
Questa fase va interpretata come uno strumento nelle mani dell’enologo e del produttore, funzionale al raggiungimento di un risultato che deve incontrare lo stile della cantina, il gusto dei consumatori e rispettare il territorio di provenienza del vitigno.
…e in Italia?
Se negli anni Novanta si ricercavano vini legnosi, con tostature forti e che tendevano a gettare ombra sul vitigno di partenza, oggi si assiste a un mutamento radicale dove il legno ritorna ad essere un mezzo che accompagna il vino nel suo percorso evolutivo il cui nucleo è la varietà, unica vera discriminante capace di restituirci una fotografia del vitigno, dell’annata, del terroir.
Nell’Italia meridionale, per esempio, era frequente l’uso di legno di castagno (Castanea sativa), anche sull’Etna, dove è largamente diffuso. Il più famoso di tutti è il Castagno dei Cento Cavalli, che si trova nel piccolo comune di Sant’Alfio (CT). La storia del plurimillenario castagno più grande d’Italia (e molto probabilmente il più antico d’Europa) si fonde con la leggenda. Si narra che proprio sotto le sue ampie fronde trovò riparo una regina, e il suo numeroso seguito di cento cavalieri, durante una tempesta. Non sappiamo chi fosse, ma rimane una bella fiaba da ricordare quando d’estate ancora ci rechiamo a rendere omaggio a un testimone della storia inconsueto che viene riconosciuto dall’UNESCO come Monumento Messaggero di Pace.
Il castagno è una valida alternativa al rovere ma interagisce diversamente col vino. Ha un’azione minore per quanto riguarda la microssigenazione e una maggiore cessione di tannino e note come cacao, muschio, resina (che ritroviamo in diversi vini toscani, anche nel Chianti).
La grandezza delle botti
Nella botte piccola ci sta il vino buono! Quante volte l’abbiamo sentito dire? In effetti una base scientifica c’è; più la botte è piccola maggiore sarà la superficie di contatto tra legno e vino, inoltre avremo reazioni ossidative veloci e una maggiore cessione di aromi. Queste caratteristiche si prestano a vini di pronta beva che faranno un passaggio relativamente breve in legno, mentre la botte grande performa meglio in caso di vini da invecchiamento dove lo scambio di ossigeno e il rilascio avviene più lentamente.
In Italia e all’estero la richiesta di botti grandi aumenta in accordo con la domanda che chiede meno legno nel vino, mentre la richiesta di barriques è in forte calo. Va detto che anche le barriques, quando hanno ospitato diversi passaggi, assumono toni meno invasivi perché hanno già rilasciato tannini e aromi. Pertanto, il loro utilizzo, dopo il quarto passaggio, si associa a un mero “contenitore”.
Conclusioni
Abbiamo voluto raccontarvi dei legni perché sono la culla dei nostri vini rossi. Tifeo rosso e Petto Dragone, Duvanera e Alicant. Per ognuno di loro il nostro enologo ha studiato un percorso diverso, che ne ha delineato la forma e la struttura. Al calice vi racconteranno la loro storia, lunga anni trascorsi in cantina in compagnia di una famiglia che li assiste passo dopo passo. Li lasciamo a voi quando sono pronti a correre, ricchi d’incanto.